Nasco professionalmente come avvocato dedito a pratiche matrimoniali e ho iniziato a frequentare il corso di counseling presso la scuola di via Leopardi a Milano nel momento in cui mi apprestavo a operare la scelta di gestire il conflitto familiare, non più secondo le regole dell’ordinamento giudiziario, ma in un contesto stragiudiziale da me avvertito come meno rigido e più adattabile alle molteplici situazioni che via via mi si andavano prospettando.
Con il presente elaborato mi propongo di ripercorrere il percorso logico della mia trasformazione, ponendo in luce come l’aver acquisito conoscenza dell’approccio sistemico mi abbia arricchito di ulteriori elementi cognitivi ed operativi che reputo estremamente utili per la mia nuova modalità di lavorare.
La riflessione attraverso la quale avevo maturato la mia decisione è la seguente.
In un gruppo sociale il diritto – costituito dall’insieme di norme dell’ordinamento giuridico – è una convenzione che interviene a disciplinare la vita di relazione normando comportamenti ritenuti socialmente rilevanti e proponendo modelli cui uniformarsi in un determinato momento storico.
Se tali modelli sono generalmente condivisi e “suggeriti” dalla coscienza sociale ( si suol dire infatti che “la legge nasce già vecchia” ), non manca tuttavia una componente promozionale del diritto tendente a sollecitare comportamenti considerati apprezzabili dal legislatore ( inteso come espressione del gruppo socio-politico dominante ) se è vero che la legge, a differenza delle scienze statistiche e sociologiche, non si limita a rilevare comportamenti, ma tende ad indirizzarli ed incanalarli in maniera conforme ai principi generali dell’ordinamento e alle scelte di politica sociale ad esso sottese.
Ne consegue che l’attinenza o meno dei modelli di comportamento recepiti e proposti dall’ordinamento al sentire dei cittadini varierà, a seconda delle forme di organizzazione politica dell’ordinamento considerato. Ma ciò non toglie che competerà pur sempre al sistema sociale promuoverne e garantirne l’osservanza con gli strumenti divulgativi e coercitivi di cui dispone: mediante la formazione, attraverso i canali a ciò preposti ( la scuola, la propaganda, ecc.) e, nelle ipotesi di conflitto, mediante un giudizio di conformità o meno dei comportamenti individuali ai modelli proposti, attraverso l’iter del processo, civile o penale.
La questione dei limiti dell’intervento giuridico in campo familiare non è cosa nuova, ma bensì da sempre dibattuta tra gli operatori del diritto, fino al prevalere della tesi che delimita l’intervento dello Stato a proporre ed imporre, in tale ambito, norme a lui funzionali per il mantenimento dell’ordine sociale e dello status quo; rimandando alla competenza di altre discipline per quanto attiene alla modalità di gestione dei comportamenti individuali, salvo il riservarsi interventi sanzionatori in ipotesi di asserite e rilevate gravi violazioni della sfera giuridica altrui o di principi fondamentali dell’ordinamento.
Tale visione della famiglia nei cui confronti il diritto non può e non deve intervenire, se non in misura molto circoscritta e per aspetti marginali, è espressa in modo particolarmente efficace dall’insigne giurista Carlo Arturo Jemolo:
“La famiglia è un istituto che il legislatore non può dominare, ma del quale può soltanto regolare certi aspetti. (..)
In realtà ben poco può fare e determinare il legislatore oltre l’ambito patrimoniale Oltre il quale ci possono essere dei divieti, delle
attribuzioni di compiti, di potestà. Ma non è facile fare sì che le potestà vengano esercitate, ove manchi in quegli cui sono affidate la coscienza etica od il buon volere, e pressochè impossibile è una sostituzione.
Giudici specializzati, tribunali dei minorenni, patronati, istituti di rieducazione, rappresentano un complesso di tentativi ardui, e non infruttiferi, ma ben spesso non coronati da successo.
Non c’è però modo di sostituirsi ad un padre ed una madre che non sappiano educare, che abbiano colpevoli condiscendenze.(..)
Per questo la famiglia appare sempre come un’isola che il mare del diritto può lambire soltanto; la sua intima essenza rimane metagiuridica.”
(JEMOLO,La famiglia e il diritto, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania, 1948,I1,pp.38-40,44-45,47-49,52,57).