Oltre a ciò, la trasformazione del contesto sociale e la diversificazione dei criteri adottati dall’ordinamento nel disciplinare il nascere e il funzionamento delle relazioni familiari ha prodotto, a mio parere, ulteriori conseguenze che richiedono risposte adeguate.
Mi riferisco ad esempio alla circostanza nuova dell’incertezza da parte del cittadino circa le soluzioni, in termini di istituzioni familiari, da adottare.
Allorché il contesto sociale opera un minor controllo sui comportamenti individuali e l’ordinamento giuridico abdica da posizioni autoritarie ed impositive per lasciare spazio a soluzioni diversificate, sempre più persone, a differenza che nel passato, si interrogano sulle proprie scelte familiari.
Nella nostra epoca è sorta ad esempio una domanda nuova :
“Perché mi sposo?”
Domanda che non era affatto concepibile qualche decennio fa e che oggi solleva una serie di perplessità sul significato individuale e sociale di tale decisione.
“Come mai – si interroga in proposito Silvia Vegetti Finzi in “Il romanzo della famiglia, passioni e ragioni del vivere insieme”, Oscar Mondadori Editore – in tempi tardo moderni, quando molti rituali sono ormai obsoleti, uomini e donne continuano ad organizzare cerimonie nuziali e a prendere, di fronte alla comunità, un impegno solenne che più nessun obbligo impone?”
Per l’autrice la risposta va ricercata nel fatto che “In ogni caso il matrimonio rappresenta la possibilità di dar forma al proprio destino, di iscrivere la storia personale in un modulo convalidato e condiviso. Ma ciascuno vi giunge per un percorso diverso, portandovi la singolarità della propria biografia, per cui gli aspetti generali rimangono celati dai vissuti individuali”.
Altre volte, sempre più spesso, si preferiscono al matrimonio soluzioni alternative (quali la convivenza o la relazione affettiva, magari allietata dalla nascita di uno o più figli, ma condotta in abitazioni separate) perchè avvertite come più rispettose dei margini di libertà individuale, salvo poi lamentare la mancata o carente tutela giuridica che ciò comporta, allorchè ne subentra l’esigenza o se ne assume consapevolezza.
Altre volte ancora si intravede nella separazione ( oggi sempre possibile, su richiesta anche di uno solo dei coniugi, ogniqualvolta, secondo il nuovo disposto dell’articolo 151 del codice civile, si verifichino condizioni di “intollerabilità della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole”- indipendentemente dalla ricerca dei motivi che le abbiano determinate- tanto da aver fatto intravedere a parte della dottrina l’insorgenza nel nostro ordinamento di un vero e proprio diritto soggettivo in proposito), l’unica possibile valvola di sfogo di conflitti relazionali o di insoddisfazioni esistenziali , salvo poi accorgersi che tale scelta giuridica, lungi dall’operare alcuna modifica sostanziale nelle dinamiche della relazione, si risolve talvolta in un puro cambiamento formale, con la conseguenza di lasciare inalterate le problematiche e le dinamiche sottostanti, cui vanno sommandosi quelle inerenti alla nuova situazione di fatto prodotta dalla separazione.
Vi sono poi variegate esigenze relative al perfezionamento del consenso, coniugale o genitoriale, che nessuna nonna giuridica indirizza verso un criterio di comportamento più o meno condiviso, limitandosi a rimandare l’attuazione dell’indirizzo di vita familiare e l’educazione dei figli all’accordo dei coniugi o dei genitori o, in mancanza, alle decisioni dei giudici che andranno promosse dagli interessati, o da uno di essi, nelle forme e nei casi previsti dalla legge.
Senonchè, vi sono delle esigenze della vita quotidiana attinenti la contrattazione dei più molteplici aspetti della relazione e della vicenda familiare (dalla fissazione della residenza, alla gestione del tempo libero e dei rapporti interpersonali o con la famiglia d’origine, agli affari economici e patrimoniali, ecc.) rispetto ai quali anche il più attento degli operatori giudiziari non saprebbe quale iter giuridico attivare, o per inidoneità strutturale, o per il rischio di cristallizzazione del conflitto e di conseguente paralisi della vita familiare, a meno che l’esigenza di delega a terzi non sia profondamente avvertita da tutti i componenti della relazione, con la relativa assunzione dei rischi a ciò conseguenti.